Venerdì, 29 Mar 24

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Trent’anni dopo... e non venne solo la pioggia / 2

Dietro osservazioni come queste non si nasconde nessun intento polemico, ma solo la necessità di non disperdere nelle nostre nebbie vallive quello che è stato

Dopo la fase emergenziale si pose subito il problema di dove allocare centinaia di nuclei familiari rimasti senza un alloggio

Con la scelta degli abbattimenti indiscriminati, l’immagine del-la vecchia Atripalda venne quasi del tutto cancellata, travolta da una serie di conseguenze urbanistiche che forse non erano state neanche previste dai fautori. E soprattutto non si fece la cosa più importante, quello che andrebbe sempre fatto dopo tragedie del genere: imparare dagli errori compiuti nel passato. Oggi, il ricordo di com’era Atripalda e il suo centro storico, prima della tragedia, è relegato nelle immagini sbiadite di un filmato realizzato nel 1978 dal Centro di Studi Storici fondato dal compianto Sabino Tomasetti assieme a un gruppo di cultori di storia locale. Un filmato che sarebbe opportuno restaurare, digitalizzare e diffondere.
Dopo la fase emergenziale si pose subito il problema di dove allocare centinaia di nuclei familiari rimasti senza un alloggio. Anche in questo caso si confrontarono due posizioni, o, meglio dire due visioni diverse: la prima mirava a ricostruire, allargando il perimetro della 167 e delle aree residenziali residue cittadine, la seconda invece mirava a concentrare in un solo agglomerato la ricostruzione pubblica. Anche in questo caso prevalse la seconda ipotesi. La prima avrebbe comportato un consistente risparmio (considerato il fatto che l’urbanizzazione primaria e secondaria era già presente), e nello stesso tempo avrebbe tenuto all’interno del centro urbano le classi sociali più radicate e storicamente concentrate nei vecchi quartieri. La seconda invece ha comportato una violenza storica su una città che per secoli aveva conservato intatto il proprio assetto urbanistico provocando lo spostamento del suo naturale baricentro senza un preciso disegno programmatico. Gli effetti sotto l’aspetto urbanistico sono presenti ancora oggi e resteranno per decenni sotto gli occhi di tutti.
Superata la fase delle tende, delle roulotte e dei container vennero realizzati in tre aree, ovvero c.da Ischia, c.da Tiratore e via Ferrovia, campi di prefabbricati leggeri in numero maggiore di quanti ve ne fosse realmente bisogno. Questa scelta comportò conseguenze in sede di assegnazione dei fondi per la realizzazione degli alloggi “definitivi” causando la decurtazione di 5 miliardi di lire dei finanziamenti. L’area della realizzazione definitiva di 303 alloggi venne individuata in c.da Alvanite e ad aggiudicarsi i lavori fu l’associazione d’imprese A.Lo.Sa. che finì di consegnare gli alloggi nell’estate del 1986. Da subito il nuovo quartiere presentò problemi che pure erano stati annunciati: la lontananza dal centro ne fece un polo di emarginazione, il mancato completamento delle infrastrutture pesò sulla qualità della vita. Basti pensare che il problema dell’accesso assicurato da uno stretto sottopasso della ferrovia e della superstrada venne risolto solo nei primi anni ’90, con la realizzazione dell’attuale ponte a unica campata. L’assenza di botteghe artigiane, di centri servizi, e in un primo momento anche di una modesta salumeria, oltre alla precarietà dei collegamenti pubblici, rendevano realmente difficoltoso, per una comunità che ormai contava circa 1300 persone, lo svolgersi della vita quotidiana.
Tuttavia i costi del terremoto non sono stati soltanto sociali, ma ovviamente anche economici. Di seguito vengono riportate alcune aride cifre, con dati raccolti dalle delibere amministrative del tempo:
11 miliardi di vecchie lire spesi per la fase emergenziale;
15 miliardi spesi per la costruzione dei prefabbricati leggeri;
28 miliardi circa spesi per l’allestimento definitivo dell’insediamento di c.da Alvanite, a cui bisogna sommare il costo del ponte e del cappotto termico realizzati nel ’92 - ’93.
Non solo, le case delle cooperative di c.da Santissimo, realizzate in modo tradizionale e non prefabbricate, vennero finite mediamente un anno e mezzo prima rispetto agli alloggi A.Lo.Sa. a un costo medio di lire 650mila a mq., invece il costo di questi ultimi si attestò attorno a una media di lire 1.400.000 a mq. A causa della tipologia e dei metodi costruttivi di queste case, gli oneri di manutenzione sono cresciuti a dismisura a fronte di un degrado strutturale, che in molti casi è sempre più evidente. E non è ancora finita: è delle ultime settimane la notizia di ulteriori investimenti di fondi regionali per la riqualificazione di c.da Alvanite.
Concludiamo qui il nostro elenco di ricordi, dati, situazioni e cifre. Dietro osservazioni come queste non si nasconde nessun intento polemico, ma solo la necessità di non disperdere nelle nostre nebbie vallive quello che è stato, con la speranza che l’insegnamento del filosofo, per cui nulla è determinato dal caso, valga a ricordarci i rischi cui siamo sempre esposti e a determinare con coscienza e lungimirante razionalità le scelte future.


(Fine seconda e ultima parte)

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