Giovedì, 28 Mar 24

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Perché si muore dieci volte di più?

L’ottavo suicidio in diciotto mesi deve far riflettere e trovare il modo per recuperare l’identità perduta

In questa torrida estate questa domanda senza risposta è risuonata ancora una volta ad Atripalda. Un altro grande dolore ha investito la nostra comunità, un dolore che si aggiunge a tanti altri: troppi. Il “male di vivere” ha colpito ancora: l’ottava vittima in un anno e mezzo, la quinta in otto mesi. Il suicidio nei suoi aspetti personali ed esistenziali rimane un gesto non interpretabile, eppure sul piano sociale e relazionale ognuno di noi è chiamato a interrogarsi e a cercare di capire perché ci troviamo di fronte a un fenomeno che ad Atripalda assume dimensioni straordinarie. I dati ISTAT riguardanti il 2010 restituiscono un quadro impietoso: mentre i decessi di questa tipologia a livello nazionale sono 5 ogni centomila abitanti, da noi, negli ultimi tempi, si ha una cifra dieci volte superiore: 5 per diecimila abitanti, e questo rispetto a una media regionale, la più bassa d’Italia, di 2,6 per centomila abitanti. Come si spiega tutto ciò? Personalmente ritengo che il male maggiore della società moderna sia rappresentato dalla sostituzione di valori con dis-valori che trasformano la ragione dell’essere in quella dell’apparire e dell’avere: oggi si è solo se si appare e se si ha. Il confronto con l’area napoletana appare contraddittorio e mette in discussione la possibilità di ascrivere il fenomeno a mere cause patologiche: il problema è principalmente di natura sociale. Nell’area napoletana, caratterizzata dal massimo degrado sotto molti aspetti, si è radicata nel tempo una sorta di comunanza solidaristica che pone giovani e vecchi all’interno delle maglie di una rete dove ci si sente qualcuno o utile a qualcosa. Nonostante, come è noto, questa rete sia molte volte rappresentata da ambienti criminali.

Atripalda ha nel corso degli anni subito profonde trasformazioni: lo sviluppo edilizio e la forte immigrazione l’hanno portata a non essere più un paese, senza divenire però una città. Oggi abbiamo assunto, anche culturalmente, l’aspetto della periferia di un centro non ben identificato. Da questa situazione Atripalda deve uscirne. Come? Tutti assieme: genitori, cittadini e istituzioni hanno l’obbligo di interrogarsi per ricercare l’identità perduta e ricucire il tessuto solidaristico che ci ha contraddistinto nel passato. Bisogna farlo con la consapevolezza che l’era postmoderna implica una crisi esistenziale che fa perdere ogni riferimento nella determinazione identitaria. La politica, prima di tutti, deve riappropriarsi delle sue responsabilità decisionali, facendo propria l’intuizione di Zygmunt Bauman e ripartendo dal luogo classico per eccellenza – l’agorà, la piazza – in cui al centro vi è la discussione pubblica e la condivisione dei problemi e delle sofferenze che possono colpire gli individui.

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