Venerdì, 19 Apr 24

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Di politica, antipolitica e dintorni…

Si pensa che siano tutti uguali, ma per chi ha occhi per vedere le differenze ci sono

Se dalla storia di Atripalda ci proiettiamo a quella del nostro Paese, notiamo che in essa sembrano essersi alternate fasi politiche con cadenza ventennale, passando in meno di un secolo dall’era fascista all’attuale periodo tecnocratico. Dal secondo dopoguerra in poi, il momento migliore per il nostro paese, forse il più alto sotto il profilo politico e sociale, è coinciso con la fase della ricostruzione con cui un popolo è riuscito a raggiungere un solido benessere pur essendo entrato in guerra avendo molto poco ed esserne uscito con ancora meno. Un benessere raggiunto nonostante la distruzione del paese fosse pressoché totale. Il merito è stato sicuramente delle singole popolazioni, operose e ottimiste, ma anche di grandi uomini politici di estrazione diversa che provenivano dalle fila del cattolicesimo e del socialismo che realizzarono un miracolo, ricostruendo macerie e coscienze attraverso un serio impegno che aveva origini lontane e che molto probabilmente ha avuto la sua ultima realizzazione in un evento che ci ha riguardato da vicino: il terremoto del 1980. Quell’accorrere da ogni parte d’Italia di migliaia e migliaia di giovani, che già si erano ‘sporcati le mani’ nell’alluvione di Firenze del 1966, rappresentò l’ultimo esempio di grande coscienza solidaristica di un’Italia unita. Da allora, anche a causa dell’irrompere sulla scena di un movimento politico localistico come la Lega, questo sentimento si è decisamente affievolito. La degenerazione della politica è poi sotto gli occhi di tutti: gli uomini che dovrebbero difendere il bene comune sono sempre più spesso interessati a mantenere i privilegi acquisiti. Questo ha portato a uno scollamento sempre più marcato tra politici e cittadini, tra la “società civile” e la “casta”. È ormai diventato un pericoloso luogo comune quello di mettere sullo stesso piano tutti i partiti e tutti i politici, alimentando in questo modo una marea montante di antipolitica. Si pensa che siano tutti uguali, tutti ladri, tutti intenti a perseguire l’obiettivo di arricchirsi trascurando la cosa pubblica. Ma un pregiudizio del genere non regge di fronte a un’analisi razionale. Che tutti vengano definiti ladri è infatti una garanzia per i politici disonesti e fannulloni. Per chi ha occhi per vedere, invece, le differenze ci sono, si vedono e si sentono. Anche per questo è confortante che in questi giorni la stampa nazionale e non si stia interessando di una rara eccezione che può essere di grande ispirazione per tutti. Si tratta di un uomo che coltiva un orto e che vive in una misera fattoria, un uomo che ha una storia alle spalle dolorosa, ma sempre finalizzata alla difesa dei diritti dei più deboli. Un uomo che, nonostante abbia raggiunto una condizione di benessere, ha deciso di vivere con poco più di 1000 € al mese. Quest’uomo è José Mujica, attuale presidente della Repubblica dell’Uruguay. Non è un pazzo: è un settantottenne che ha combattuto contro la dittatura militare che governava il suo Paese, che è stato ferito ben sei volte negli scontri, e ha trascorso 14 anni della sua vita in carceri tremende. A chi gli ha chiesto la motivazione per una vita così austera e frugale ha risposto: “I soldi mi debbono bastare perché la maggior parte dei miei connazionali vive con meno”. Di fronte a un esempio del genere i sentimenti sono duplici: da un lato l’ammirazione per un esempio di rara onestà, dall’altro l’ispirazione per non arrendersi al malcostume imperante.  Certo una rondine non fa primavera, eppure è giunto il momento di non abbandonarsi al pressappochismo che alla fine avvantaggia solo i malfattori,  è necessario per la politica italiana un miglioramento nella selezione della sua classe dirigente. È giunto il momento di non cadere più nelle trappole dell’antipolitica, che alla fine rischia soltanto di alimentare falsi miti: solo così si potrà evitare che dopo i grilli arrivino le cavallette.

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