Venerdì, 19 Apr 24

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Ero uno straniero…

Non si può restare inerti dinanzi all'apocalittico scenario di Lampedusa

Era mia convinzione non derogare dallo scrivere in questo mio spazio sempre e solo su Atripalda e soprattutto per Atripalda, nel fermo convincimento che le problematiche di più ampio respiro territoriale, nonché quelle nazionali, competono ad altri, in special modo ai professionisti del settore. Eppure dinanzi ai fatti drammatici di Lampedusa sento il dovere di condividere una piccola riflessione e non solo perché tale tragedia è stata molto sentita anche dalla nostra comunità e ha acceso dibattiti che hanno coinvolto anche i nostri concittadini. Dinanzi alla recrudescenza di un fenomeno come quello dell’immigrazione disperata – che è iniziato da anni, ma che nelle ultimissime settimane sta indubbiamente assumendo dimensioni inusitate – e dinanzi alle terribili immagini che i media ci ripropongono credo che sia necessario per ognuno di noi fermarsi un po’ a riflettere e a porci qualche domanda, possibilmente lontani da ogni scontata retorica.

È questa la più grande migrazione della storia? Siamo l’unico paese a essere interessato da un consistente flusso immigratorio? La risposta a queste due domande è certamente no. La più grande migrazione della storia riguarda infatti la Cina, un paese immenso che accanto alla migrazione verso altri stati ha visto negli ultimi decenni lo spostamento di 160 milioni (ma c’è chi parla addirittura di 230) di persone dalle remote aree interne verso le coste. Pur non potendo paragonarsi a questi numeri davvero imponenti, anche la migrazione italiana ha interessato un’enorme quantità di persone. In poco più di un secolo 26 milioni di nostri connazionali hanno lasciato i loro paesi per spostarsi in ogni parte del mondo: tale migrazione, concentratasi maggiormente alla fine del 1800 e i primi decenni del 1900 con la sola parentesi della prima guerra mondiale, non è stata certo poca cosa per un singolo Paese. Sappiamo da cosa si fuggiva: si scappava dalla miseria con l’intento di ritornare quanto prima dopo avere provveduto ai bisogni primari della famiglia. Sappiamo anche che alla fine la maggioranza ha preferito rimanere oltreoceano, dove costituiscono ancora tutt’oggi una delle identità più forti, radicate e più in vista del melting pot nord e sudamericano. Meno nota è invece un’altra migrazione che ha interessato cittadini italiani, ovvero quella che in un secolo li ha visti spostarsi proprio verso quei paesi africani da cui partono senza sosta i viaggi della disperazione degli ultimi anni. Gli italiani migrati verso preferibilmente il Marocco, ma anche l’Egitto, la Somalia, la Tunisia e non ultimo il Sud Africa, sono stati infatti mezzo milione. Alla cifra totale andrebbero sommati anche gli italiani in Libia e in Eritrea, il nostro “posto al sole”, ma questi ultimi stranamente contano cifre molto inferiori, considerato che tutti gli italiani espulsi da Gheddafi nel 1970 sono stati ventimila. Questo non per minimizzare o relativizzare quanto sta accadendo sulle coste italiane, tutt’altro: è necessario più che mai comprendere che questi accadimenti sono eventi storici e non riguardano soltanto le sorti di un singolo paese e di singole comunità. E come tali devono essere interpretati, evitando di portare acqua al mulino di egoismi particolaristici, così bene rappresentati da forze politiche di infimo ordine.

La risposta alla domanda se le coste siciliane e in misura minore quelle calabresi sono le uniche interessate da un massiccio flusso migratorio consiste nel ricordare che in realtà esistono diverse rotte come ad esempio lo stretto di Gibilterra (storicamente la rotta più utilizzata), e anche quella che approda in Grecia. E proprio perché l’emergenza riguarda diversi paesi europei, deve essere proprio l’Europa a intervenire in maniera più efficace aiutando il governo italiano e il popolo di Lampedusa in questa situazione davvero insostenibile.

Certamente sono tante le ragioni che spingono queste persone a imbarcarsi su delle vecchie carrette conoscendo il più delle volte il rischio che li attende: gli sbarchi finiti male sono noti anche quando si decide di partire. Eppure questo non ridimensiona il fenomeno, perché si fugge nel migliore dei casi dalla miseria, ma principalmente dalle malattie, dalle persecuzioni, dalle guerre e questo genera il più delle volte la convinzione che dinanzi a una morte certa disperatamente si sceglie una morte probabile. Un altro indicatore di come sarà difficile fermare o regolamentare questa migrazione è rappresentato anche dall’alta percentuale della richiesta di asilo politico, diritto contemplato dalla nostra Costituzione.

Non si può rimanere inerti dinanzi a questo scenario apocalittico: anche la nostra città potrebbe dare un suo contributo richiedendo di potere adottare o qualche bimbo rimasto senza genitori o una famigliola di sopravvissuti. Sarebbe un gesto nobile da parte di una città antica e di altrettanta antica civiltà, possiamo e dovremmo farlo per il rispetto che dobbiamo a tutte le vittime, ma in special modo a quelle bare bianche di bimbi innocenti che il mare ha inghiottito. E anche per il rispetto verso tutti i nostri migranti italiani che non raggiunsero mai l’‘America’…

E di fronte a coloro che pensano che, al contrario dei nostri antenati migranti, quelli attuali sono – per una nefasta e quanto mai ingiusta legge – clandestini, rammentiamoci che 2013 anni fa vi fu un uomo che si sentiva un clandestino e che nonostante questo ha cambiato la storia proprio grazie al suo essere ‘clandestino’. Ricordiamo dunque quanto scritto nel Vangelo di Matteo 25.35, ricordiamo quello straniero che ha voluto trasmettere un messaggio d’amore attraverso l’accoglienza e ha detto: Ero straniero e mi avete accolto.

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