Venerdì, 29 Mar 24

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Giullarte è viva, Giullarte è morta

Senza i generosi fondi regionali qual è il futuro della manifestazione?

L’ultima edizione di Giullarte ha vinto la sfida. Tutto è filato liscio: il clima è stato particolarmente mite, le scuole aperte non hanno penalizzato più di tanto le famiglie con bambini e le presenze forse sono andate anche oltre le più rosee aspettative. Atripalda, per due pomeriggi (l’anteprima) e tre serate, è stata l’ombelico della provincia, offrendo di sé finalmente un’immagine scintillante e allegra. E le ricadute si sono registrate anche nel settore gastronomico, per l’occasione ampliato fin dove la tolleranza e la fantasia hanno consentito. La qualità degli artisti (fra i quali l’atripaldese Carmine Tronchese ha fatto, ancora una volta, una bella figura), le scelte, l’organizzazione, i particolari sono discutibili quanto si vuole ed, anzi, è giusto farlo per far crescere il “tono” della manifestazione, ma un successo è un successo. Il punto, però, paradossalmente è proprio questo: quale futuro ha Giullarte? Senza i generosi finanziamenti regionali degli ultimi due anni sarà praticamente impossibile tirare fuori dal bilancio comunale i soldi che servirebbero per far sopravvivere una manifestazione di questo livello. I primi anni Giullarte era il frutto di molto ingegno e poche risorse, poi sono arrivati gli sponsor privati ed, infine, i soldi pubblici: e domani? Con i tempi che corrono sarà difficile avere ogni anno centomila euro a… fondo perduto. Ed allora, se Giullarte non deve morire, è fondamentale cominciare a pensare sin da oggi a capire come potrà vivere.

Vivere ad Atripalda, un tempo città dei mercanti, laboratorio politico, terra di santi, culla della civiltà e dell’industria (solo per fare degli esempi), è  diventato sempre più difficile. In questi primi numeri abbiamo ospitato lettere ed opinioni che, in qualche misura, invocano un cambio di passo, un’inversione di rotta, in altre parole: una svolta. Una svolta non solo dal punto di vista amministrativo, ma anche politico, etico, culturale, sociale, identitario. È bastato, insomma, “aprire” alla città le pagine de “il Sabato” per scoprire che la città fa fatica a riconoscersi in sé stessa. Belle parole, nobili intenzioni che, tuttavia, si infrangono contro il muro di gomma di una realtà ormai disincantata e disillusa, quasi rassegnata al declino che la mortificando. Ma in che modo si può realmente tentare di sottrarre Atripalda ad un destino che non merita? Siamo in grado di vincere questa sfida? Abbiamo davvero voglia di farlo? Il realismo ci suggerirebbe di non farci troppe illusioni, ma forse un modo per cambiare la situazione c’è. Ed è quello di tornare a “scandalizzarsi”. Ormai sembra che ci stiamo abituando a tutto e che nulla più ci sorprenda. Non ci sorprende se la scuola è costretta a chiedere soldi ai genitori per acquistare la carta igienica, non ci sorprende se un consigliere passa da una parte all’altra dei banchi consiliari, non ci sorprende se gira e rigira comandano sempre gli stessi, non ci sorprende notare piccoli e grandi abusi quotidiani, non ci sorprende se nessuno mantiene più le promesse, non ci sorprende se una via è chiusa da quasi un anno, non ci sorprende se le nostre strade sono sporche ed i nostri parchi puzzano e muoiono. E non ci sorprendiamo se poi non cambia mai nulla.

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