Venerdì, 19 Apr 24

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L’Erasmus da salvare... per crescere

Uno degli strumenti più utili ai giovani rischia di non essere più finalizzato

Erasmus è una parola entrata nell’immaginario collettivo come una fantastica esperienza di vita. Un’etichetta che ricorda gli anni di formazione universitaria con il corollario di conoscenza di una lingua straniera. Il progetto Erasmus, come spiega il sito ufficiale, offre l’opportunità di «studiare in due o più Paesi, vivendo insieme a studenti europei e di altri Paesi del mondo» e di «costruire una rete di rapporti con i docenti e i colleghi di corso, molto utile per il futuro professionale». Tradotto in altri termini: rende gli studenti realmente cittadini europei, molto più della moneta unica, facendoli uscire dall’orticello nazionale. Al di là degli stereotipi cinematografici che ritraggono universitari dediti a bivaccare in simil vacanze, il tema dell’Erasmus riguarda uno strumento essenziale per la crescita delle future classe dirigenti. La questione investe sia le città metropolitane che i centri di media grandezza come Atripalda. In una fase storica molto complicata accade addirittura che venga messo in discussione l’Erasmus. O meglio: vengono avanzati dubbi sul finanziamento del progetto in sede europea, perché gli Stati non hanno più denari da immettere nel motore del Fondo sociale europeo. Manco a dirlo, dunque, la ragione è legata ai tagli nei bilanci. L’Ue, dopo aver chiesto sacrifici sommati a sacrifici, ora rivela che mette a repentaglio l’esistenza di uno strumento fondamentale per il suo stesso sviluppo. Il problema non è semplicemente di dimensione globale. Basta chiedere a qualche giovane atripaldese che ha vissuto l’esperienza Erasmus per capire la rilevanza del fenomeno. Gli studenti tornano arricchiti dai mesi trascorsi all’estero e possono immettere la linfa fresca delle conoscenza nelle comunità in cui risiedono. La vita dinamica oltreconfine permette l’acquisizione di frontiere diverse nell’approccio alla società. Tanti ragazzi incamerano nozioni e idee che possono essere reinvestite nei luoghi in cui sono nati e cresciuti, paradossalmente arginando il fenomeno dell’emigrazione. Un giovane, che magari grazie al progetto universitario ha avuto l’opportunità di vivere all’estero, può innovare la mentalità preesistente, aprendo strutture aziendali, cimentandosi con le start-up, o mettendo in piedi qualsiasi iniziativa che inneschi un meccanismo positivo. La politica ha già annunciato un impegno costante per scongiurare la fine dell’Erasmus. «Nonostante la difficoltà in questo momento ci debba essere una grandissima attenzione. Troveremo una soluzione», ha detto il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo. E la politica, anche a livello micro, deve spingere pure su temi che sembrano esulare la propria competenza. Per far crescere una città, una comunità come può essere quella di Atripalda (ma come tante altre realtà meridionali), c’è bisogno di apertura, di immagazzinamento di forze e intuizioni fresche. Solo con l’internazionalizzazione dei giovani è pensabile un rilancio dell’intera provincia. Perciò, anche nel piccolo di una città, c’è il dovere di guardare oltre i confini del Comune per scrutare la sterminata prateria in cui viviamo.

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