Giovedì, 18 Apr 24

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La sanità negata

Nella nostra realtà le scelte nazionali hanno già avuto ripercussioni

Le misure di contenimento della spesa pubblica sono in larga parte, se non nella loro totalità, operate attraverso cosiddetti tagli lineari, ovvero con la semplice eliminazione o decurtazione della voce di costo senza preoccuparsi di come i tagli incideranno sulla qualità dei servizi. Il comparto che maggiormente ne ha risentito e ne risentirà anche negli anni a venire è quello della sanità. Il finanziamento del nostro servizio sanitario è tra i più bassi d’Europa. Ciononostante si intende risparmiare complessivamente 31 miliardi di euro entro il 2015, con l’introduzione di nuovi ticket – in realtà già previsti nella manovra finanziaria del 2011 – e poi con la revisione della spesa (spending review) del governo Monti. Questi tagli porteranno non solo a una ulteriore riduzione dei servizi e delle prestazioni, ma causeranno malessere e sfiducia tra gli utenti e gli operatori. Con l’aumento dell’aspettativa di vita dei pensionati (che si attesta attualmente a 84 anni per gli uomini e 88 per le donne), giocoforza la spesa risulterà concentrata su servizi relativi alla parte terminale della vita, a discapito di tutte le misure di prevenzione. Solo come esempio possiamo ricordare che recenti studi hanno dimostrato che attraverso un corretto stile di alimentazione si arriverebbe a una riduzione del 30% della morbilità dei diabetici (3 milioni di casi in Italia) e dei cardiopatici, con tutti i benefici conseguenti alla maggiore produttività di chi è affetto da queste patologie. Quindi con la scelta effettuata attraverso i tagli lineari si continua nella logica di reperire risorse immediate senza tener conto delle conseguenze future. Oggi le liste d’attesa, a volte lunghissime, per effettuare una visita specialistica – a me è capitato che una visita prenotata nel novembre scorso sia in calendario per gli inizi del prossimo luglio – e il costo del ticket quasi pari a quello del regime privatistico spingono nella maggior parte dei casi alla rinuncia i cittadini con redditi modesti. La cosa diventa ancora più odiosa perché a pagarne le conseguenze maggiori sono i malati cronici, quelli interessati da più patologie e quelli che non possono permettersi di rivolgersi al sistema privatistico, arrivando così all’assurdo: chi è più malato più paga. L’obiezione dei tecnici si basa sul fatto che nell’attuale congiuntura economica è necessario risparmiare, e nessuno mette in discussione questa urgenza. Tuttavia, una cosa è tagliare gli sprechi, riorganizzare l’organico, ricorrere a nuovi criteri di spesa, e tutt’altro è abolire o ridurre servizi e prestazioni. Nella nostra realtà cittadina le ripercussioni delle scelte effettuate a livello nazionale e regionale sono già evidenti. La ventilata ipotesi di uno spostamento dell’ASL non è del tutto scongiurata, anche se prima delle elezioni il Direttore Generale ing. Florio aveva fatto intravedere un accordo con i proprietari dei locali di via Manfredi. “La Casa di Adele”, struttura che ospita soggetti sensibili, non paga da mesi gli stipendi agli operatori ed è a rischio chiusura. Il centro “Aprea”, recentemente inaugurato e presentato come un centro all’avanguardia, ha una vita asfittica che non ha soddisfatto le aspettative. Del centro anziani di c.da Alvanite, in fase di ristrutturazione, non si sa se riaprirà. Vi è bisogno su questo tipo di tematiche il coinvolgimento di tutti: nessun cittadino può tirarsi indietro e l’Amministrazione comunale non può semplicemente affermare che queste questioni riguardano l’ASL. Nonostante le difficoltà bisogna insistere a tutti i livelli per la risoluzione dei problemi contingenti e per limitare i danni: il diritto alla salute non è di pochi, ma di tutti.

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