Giovedì, 18 Apr 24

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Dall’estate all’autunno

Le critiche non devono scalfire la convinzione che fare è meglio che parlare

Biagio Venezia

Mentre gli odori e i colori dell’autunno si fanno sempre più intensi attorno a noi, il pensiero corre all’estate appena trascorsa e come d’abitudine si è sempre portati a redigere un bilancio di quella che è la più attesa delle stagioni. Il bel tempo, generalmente, e il lungo periodo di luce stimolano i nostri sensi rendendoci più attivi. Non si trascorre più tempo all’aperto soltanto per piacere, ma anche per ragioni fisiologiche. È per questo che le attività estive non dovrebbero essere pensate esclusivamente come un mero passatempo, ma anche come una salutare necessità e un’importante occasione di socializzazione e condivisione. Abbiamo la fortuna di avere una delle piazze più grandi tra i comuni della nostra provincia, che sembra fatta apposta per accogliere concittadini e non, e forse andrebbe ripensata nella suddivisione degli spazi e per la circolazione automobilistica in modo da aumentarne ancora di più la fruibilità. Complessivamente la città offre numerosi spazi per l’aggregazione che andrebbero meglio sfruttati, cosa che per il passato avveniva in modo molto naturale attraverso l’organizzazione di momenti conviviali che ruotavano attorno alle ricorrenze religiose. I tempi sono cambiati, negli ultimi decenni anche sul piano identitario Atripalda si è molto trasformata. Bisogna recuperare questo gap e per farlo è necessario mantenere viva la memoria collettiva riappropriandoci da un lato di quelle che erano le nostre tradizioni e cercando dall’altro nuove strade che uniscano nuovi e vecchi atripaldesi. Per farlo è necessario rinunciare a cattive abitudini che nel tempo hanno permeato le nostre coscienze: da sempre vi è stato chi si è fatto carico più di altri nell’ideare e organizzare avvenimenti o semplici occasioni di svago - oggi si definiscono eventi -, mettendo sempre in conto di ricevere nel migliore dei casi delle critiche che non devono però scalfire la convinzione del fatto che fare è più necessario rispetto al semplice parlare.

Le iniziative estive quest’anno ad Atripalda sono state invece poca cosa, l’Amministrazione a differenza degli altri anni se ne è lavata le mani; colpa della crisi economica fuori dubbio, ma siamo davvero sicuri che per organizzare qualcosa di valido vi sia sempre bisogno di una barca di soldi? Io credo che quello che manca non sono solo i soldi, ma anche e soprattutto le idee. Se osserviamo quello che viene realizzato in altri paesi della provincia, a volte paesi piccoli come Sorbo Serpico, è facile trarre la conclusione secondo la quale l’organizzazione di attività sociali si regge essenzialmente su due pilastri fondamentali: l’immaginazione e il volontariato. Da un lato la capacità di prospettare qualcosa di nuovo e di coinvolgente, e dall’altro uno spirito di sacrificio che si fonda sul desiderio di condividere qualcosa che porti dei frutti, e non sulla volontà di ‘monetizzare’ tutto e subito. Partendo da questo è possibile far interagire tradizione e innovazione, il vero segreto di un ‘evento’ che possa essere considerato davvero tale.

Dopo un’estate deludente segue un autunno che non si prospetta di certo ricco di iniziative. Anzi… Perché non pensare anche per Atripalda a una sagra autunnale che da un lato riscopra qualche antica usanza e dall’altro dia anche la possibilità di aggregazione e socializzazione in un periodo dell’anno che non favorisce molto questo aspetto del vivere comune? Per fare questo è necessario andare a riscoprire quello che siamo stati, le cose che abbiamo cancellato, e riportarle a nuova vita. Potremmo pensare ad esempio al fatto che ad Atripalda, per la presenza del mercato settimanale, che notoriamente è stato per il passato il più grande e importante della provincia, vi è stata una continua contaminazione con gli usi di altre comunità che hanno arricchito la nostra tradizione in tutto, dalle arti ai mestieri fino ai sapori. Se si fosse capace di riproporre alcuni antichi sapori, si potrebbe seguire le orme di chi è riuscito a far conoscere degli usi oggi scomparsi, esportando oltre i confini provinciali la nostra ristorazione ed entrando di diritto nelle guide specializzate. Chi non ha mai sentito parlare, anche se vagamente, delle “carnacottare”? Nei vicoli di via Tripoli le carnacottare erano delle specialiste nel preparare piatti a base di carne povera, come trippa, lingua, fegato, rognone, ecc. con cui realizzavano succulente ricette. In molti testi poi Atripalda viene annoverata come la patria del “mugliatiello” e del baccalà in tutte le sue varianti: la realizzazione di tali piatti attraverso delle sagre tematiche, nel pieno rispetto della normativa vigente, potrebbe garantire un notevole guadagno economico e servire da volano per rilanciare altri aspetti di cultura popolare, che è altrettanto importante quanto la cultura accademica. Atripalda ha un patrimonio immenso che si è tentato di cancellare nel nome di una presunta modernità: vale la pena tentare di riscoprirlo attraverso la riproposizione di usi, arti e mestieri, che a volte nulla avevano da invidiare a quello che veniva solitamente realizzato solo a Napoli.

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