Venerdì, 29 Mar 24

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Mercato e mercanti

La storia plurisecolare della nostra città ormai è una foto ingiallita

La vocazione commerciale di Atripalda risale a tempi lontani, forse addirittura al periodo romano, come lasciano supporre le torri nel muro di cinta dell’antica Abellinum, che molto probabilmente fungevano da silos contenenti le granaglie per supportare le milizie impegnate nell’occupazione delle zone interne. Un ruolo logistico che ben si adattava a una città che per collocazione geografica è sempre stata un importante snodo viario. Questa funzione si è mantenuta nei secoli tramite lo sviluppo di attività commerciali testimoniato da qualche raro, antichissimo documento, che attesta la presenza del mercato. Tale presenza favorì certamente un  indotto artigianale e industriale: le ferriere, ramiere, gualchiere, ecc. da un lato rafforzavano il mercato cittadino e dall’altro operavano in un più vasto bacino d’utenza. La crisi delle industrie, causata dall’avvento di fonti energetiche diverse da quell’idraulica, spostò il ruolo baricentrico di questa specifica realtà produttiva determinandone progressivamente la scomparsa. Un esempio è rappresentato dalla produzione del ferro, nel XIX secolo in mano prevalentemente alla famiglia Salvi: ne sopravvisse il solo aspetto della commercializzazione che, anche per effetto di legami familiari, passò alla famiglia De Angeliis e resistette fino agli anni Novanta del secolo scorso con una posizione predominante in ambito provinciale.

In qualche vecchia immagine fotografica degli anni Sessanta il panorama atripaldese è ancora caratterizzato da sette alte ciminiere. Attorno al mercato e alle fiere era inoltre radicato un commercio stanziale che assicurava una vastissima fornitura dei più svariati prodotti. In alcuni settori la vendita all’ingrosso deteneva, così come per il ferro, una supremazia che, in certi casi, andava oltre l’ambito provinciale. Negli anni ’70 iniziò un inesorabile declino che vide la scomparsa delle residue lavorazioni produttive che ruotavano intorno alle attività artigianali: l’ultimo comparto è stato quello della lavorazione del latte, esauritasi quasi definitivamente con il terremoto. Resistono ancora nel settore agroalimentare la lavorazione della frutta e la produzione del vino, anche se in fase di delocalizzazione.

Le cause di questa marginalizzazione di Atripalda dal panorama produttivo provinciale sono state molteplici. Ormai i commercianti storici sono rimasti in pochi, destinati a scomparire anch’essi non avendo, se non in pochi casi, assicurata la continuità generazionale. Si è lasciata consumare una risorsa che era parte della nostra storia e, quando si è tentato di articolare un serio intervento, con la breve esperienza della Città dei Mercanti, era ormai forse troppo tardi. Oggi assistiamo passivamente alla fine di un processo: la grande distribuzione e non solo, abbondantemente presente nel settore alimentare, non è nelle mani di atripaldesi. Il continuo ricambio tra esercizi che chiudono e quelli che aprono è un segno di oggettiva instabilità; il Centro Servizi, che doveva servire a un rilancio per tutto il settore, è in fase di alienazione; l’area di Parco Acacie come spazio fieristico espositivo resta un miraggio, così come una soluzione definitivamente convincente per la collocazione del mercato settimanale. Dopo le tante proposte sentite nell’ultima campagna elettorale oggi è calato il silenzio. E invece proprio in questo momento c’è bisogno di  uno sforzo per cercare di invertire la rotta abbandonando ogni mentalità assistenzialistico-protezionistica per salvaguardare una realtà produttiva che avrebbe bisogno non di interventi dettati da interessi di parte o emergenze, ma di una programmazione lungimirante e di ampio respiro sociale e politico. Cerchiamo, tutti assieme, di rilanciare il meglio di una storia plurisecolare.

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