Venerdì, 29 Mar 24

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Trasformismo e politica

Il “cambio di casacca” è un inganno per chi, con il voto, ha dato la fiducia

Con l’approssimarsi delle elezioni politiche ritorna alla ribalta l’annosa contrapposizione tra destra e sinistra o tra conservatori e progressisti. Un tema antico che oggi sembra aver assunto sembianze diverse, quasi un’inversione di ruoli, considerata l’esperienza del cosiddetto governo tecnico che, pur avendo esaurito la propria funzione con lo scioglimento delle Camere, vede invece il suo massimo esponente tentare la continuazione del lavoro intrapreso, candidandosi alla ricerca di una legittimazione popolare. Ci si può domandare cosa c’entri questo con il trasformismo politico e sarebbe una bella domanda. Infatti il termine ‘trasformismo’ ha assunto nel tempo significati diversi: esso risale alla fine dell’Ottocento quando il presidente del Consiglio di allora A. De Pretis inaugurò un nuovo modo di governare che potremmo definire oggi a ‘maggioranza variabile’ e che lui stesso condensò nell’affermazione: “Se qualcuno vuole entrare nelle nostre file, se qualcuno vuole trasformarsi e diventare progressista come posso io respingerlo?”. Questo gli garantì di essere nominato per otto volte capo del governo, instaurando nel nostro paese una prassi politica fatta di compromessi, di intrighi, di accordi sottobanco, che hanno portato la corruzione a risultati sempre più deleteri e a diventare una vera e propria piaga sociale oltre che politica. La parola è così entrata nel linguaggio politico corrente come termine dispregiativo per indicare gli opportunisti, i voltagabbana e in generale tutti coloro pronti a cambiare schieramento politico secondo le proprie convenienze o semplicemente per ritorsione verso quello che non si è potuto o riuscito a ottenere. Un nuovo significato acquista tale termine nel momento in cui, come succede con l’ex premier Monti, chi è chiamato a rendere un servizio per il Paese in virtù di alte competenze tecniche finisce poi per schierarsi in modo fortemente caratterizzato politicamente. La differenza rispetto al passato consiste nel difendere argomentazioni che, pur avendo profonde radici legate al conservatorismo e al mantenimento di antiche diseguaglianze e assurdi privilegi, vengono spacciate per innovazione e progresso. Chi difende diritti acquisiti con sacrifici e lotte, gli interessi dei lavoratori, dei pensionati, dei disoccupati, dei cassintegrati, chi reclama lavoro per i giovani, per superare le precarietà sempre più diffuse, oggi viene apostrofato da banchieri, che non hanno mai brillato come esempi di solidarietà, come pericoloso avversario e come conservatore. Il trasformismo del trasformismo, dunque!

Da noi, piccola città di provincia, quest’ultima variante non sembra aver trovato grande consenso, siamo rimasti un po’ ‘all’antica’ e i casi presenti sono ascrivibili alla classica categoria di trasformismo. Nel passato gli episodi non sono stati molti e per questo i trasformisti di turno ricevevano un marchio a volte risultato indelebile. Oggi invece il fenomeno si è allargato e forse per alcuni rappresenta la normalità. A guardare bene la cosa interessa un quarto dei consiglieri comunali, ex amministratori e qualche esponente di partito. A leggere le motivazioni ci si trova dinanzi a persone che hanno perso il senso della misura, tanto puerili e ridicole sono a volte le giustificazioni. Non è una buona cosa! Quando questo avviene è un inganno nei confronti di chi ha dato fiducia esprimendo il consenso attraverso il voto. E allora la classe dirigente del passato, quella della ricostruzione nazionale, parafrasando il principe di Salina, avrebbe ben ragione di dire: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene”.

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