Una troupe sta girando un documentario sull’«Ideal» e, come d’incanto, riaffiora dai ricordi la lunga storia di una famiglia e di una città che hanno legato per quasi un secolo il proprio nome a quello dello spettacolo, del racconto e della cultura
Una piccola troupe di giovani cinefili (regista, tecnici della sonorizzazione e del montaggio, fotografi) da qualche giorno esplora la nostra città: cerca scorci, verifica inquadrature, e batte il secco rintocco del ciak. Insomma ad Atripalda è ancora… cinema, nonostante tutto, e sempre con un entusiasmo inversamente proporzionale alla disponibilità di attrezzature tecniche e risorse finanziarie.
E’ lunga la storia del cinema sulle rive del Sabato ed ha quasi gli stessi anni (cento e più meravigliosi anni) della signora Gemma, che dei primi passi della cinematografia in Irpinia fu testimone e un po’ anche protagonista, sedicesima della lunga progenie di Raffaele Troncone l’artista, il fotografo, l’impresario cinematografico e teatrale. Tutto era cominciato quasi per gioco, con una macchina poco più che amatoriale e le prime serate di proiezione nel salone del Palazzo municipale, concesso con entusiasmo (poco a che vedere, purtroppo, con il nostro plumbeo presente), dal sindaco, il notaio Sabino Mottola. Insomma Raffaele aveva intuito che la curiosità e la passione di Manfredi poteva diventare una nuova attività imprenditoriale e, quando nel 1921-22 aveva ottenuto, con i voti unanimi del Consiglio, il salone del palazzo Comunale “per uso cinematografico” la scommessa poteva dirsi vinta. Aveva 53 anni, era stato eletto consigliere comunale, era un artista consacrato, autore di delicati acquerelli e ritratti, riconosciuto e premiato. La disponibilità del salone municipale, la “sala dei comizi”, era stata ribadita e prorogata a fronte di un pagamento di 60 lire mensili ed a “condizione che resti sempre a disposizione del Comune allorquando se ne presentasse l’occasione”.
Ma di una prima vera sala cinematografica si pote’ parlare solo dopo il trasferimento nel palazzo della Dogana. Proprio per l’impianto di un cinematografo nella dogana (lato destro) aveva manifestato interesse Umberto Rescigno che, nella seduta di Giunta del 28 febbraio del 1921, aveva avuto una risposta interlocutoria: “La Giunta prende atto dell’istanza di Umberto Rescigno […] e poiché la Dogana trovasi fittata alla Commissione Provinciale Incetta Cereali è necessario far pratiche per ottenere il permesso di occupazione”.
Ma evidentemente, quattro anni più tardi, il 5 maggio 1925, i tempi dovevano essere ‘maturi’ se il Consiglio Comunale, letta l’istanza di Tommasina Amatucci del 28 gennaio 1925, concedeva il fitto novennale dal 1 settembre 1925 al 31 agosto 1934, per 500 lire annue da pagarsi in rate quadrimestrali. Condizioni particolarmente vantaggiose che imposero, nella seduta del 14 aprile 1926, un adeguamento del fitto annuale da 500 a 720 lire. Il Comune conservava la disponibilità della sala al solo costo delle spese vive per “manifestazioni pubbliche, comizi elettorali, conferenze, spettacoli di beneficenza”, a parte l’aggio sui biglietti (la cassiera era Gemma) previsto dal Regio decreto del 30 dicembre 1923 n. 3276. Fu così che Raffaele, fotografo, divenne anche in anagrafe “impresario teatrale e cinematografico”.
Ma furono i figli Manfredi ed Ettore i protagonisti cittadini dei fasti della cinematografia italiana degli anni ’50 e ’60, ed infine anche i testimoni del suo inevitabile declino. Eppure i Troncone (Raffaele, il pioniere del cinema muto e dei primi sonori negli anni ’30, e poi i fratelli Ettore e Manfredi, nella nuova sala, ai piedi della rampa per S. Pasquale, nei primi anni ‘50) sono parte della storia del cinema e dello spettacolo in Irpinia. Forse fu anche per questo che fu ambientato ed in parte girato ad Atripalda, nel 1958, Napoli, sole mio (con Maurizio Arena, Tina Pica e Titina De Filippo), mentre fu sicuramente meno casuale il sopralluogo in città di Federico Fellini, a caccia di documenti e testimonianze per il film “Il Bidone”.
Dall’opera al varietà, dall’operetta al neorealismo d’avanguardia di Camillo Marino e Giacomo D’Onofrio, l’Ideal visse un dignitoso crepuscolo, fino alla visione giudiziaria de “La chiave” di Tinto Brass e fino all’ epilogo malinconico della sala vuota, nonostante le luci rosse…
E poi quasi una seconda, insperata, giovinezza negli anni ’80, con affollatissime stagioni cinematografiche e teatrali che si realizzavano in una teatro pressoché inagibile, ma ogni volta, dignitosamente e miracolosamente, tirato a lucido. Fu l’ultima generosa fiammata, prima della fine: con l’attività dei gruppi teatrali GTA, La Comune, Umma Umma.
Ma la passione per il cinema non si era ancora spenta se per alcune settimane Atripalda alla fine degli anni ’90 diventò, soprattutto grazie alla coinvolgente intuizione di Giovanni Solimene, il set del cortometraggio “Andare” di Martino Lo Cascio (con la partecipazione di Luigi Lo Cascio) e recentemente di “The Underdog” di Ermanno Bonazzi.
Insomma anche Atripalda ha avuto una piccola parte nella grande avventura del cinema italiano ed anche il suo ‘Nuovo Cinema Paradiso’, e forse pure qualcosa di più (con le belle prove di Federica Sarno e Monica Maffei): solo che l’agonia dell’Ideal continua tuttora, nonostante le ricorrenti buone intenzioni, fino a farsi metafora di una pluridecennale paralisi… Ma questa è proprio la storia che la giovane regista Matilde Trifari vuole raccontare ad una città sempre più distratta nel suo presente e sempre meno consapevole del suo passato.
Raffaele La Sala
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